L’arrivo dei vaccini contro il coronavirus ha acceso molte speranze a livello globale sulle possibilità di porre un freno alla pandemia, ma ha anche fatto sorgere dubbi e timori sull’efficacia e sicurezza di questi farmaci in alcune popolazioni particolari, per esempio i pazienti oncologici.
L’attenzione su questo tema è molto alta, come dimostrano i quasi 7.000 articoli pubblicati fino ad oggi sul tema “Covid e cancro” e come sottolinea anche l’impegno di diverse società scientifiche che hanno pubblicato linee guida e raccomandazioni su come affrontare al meglio la pandemia quando ci si deve confrontare anche con una patologia oncologica.
Tra questi documenti ce ne sono alcuni specificamente dedicati alla vaccinazione contro SARS-CoV-2 che ha preso il via da qualche mese in tutto il mondo. Tra gli altri, si sono espressi sul tema delle vaccinazioni le società di oncologia medica Europea (ESMO), statunitense (ASCO) e Italiana (AIOM), quest’ultima promotrice di un documento datato 28 gennaio 2021 in collaborazione con il Collegio Italiano degli Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) e il Collegio degli Oncologi Medici Universitari (COMU).
Le indicazioni di questi esperti possono essere utili per fare un po’ di luce su un tema non ancora del tutto chiaro.
I malati oncologici corrono più rischi della popolazione generale se si ammalano di Covid-19?
I dati oggi disponibili, frutto di studi osservazionali e dati di registri, permettono di dire che i pazienti oncologici hanno un maggior rischio di sviluppare malattia grave dopo infezione da SARS-CoV-2 e che questo incremento è particolarmente visibile nei pazienti con tumori ematologici, cancro del polmone e malattia metastatica. Il rischio è maggiore in caso di malattia attiva e si modifica nel tempo: è più alto nel primo anno dopo la diagnosi e in seguito diminuisce fino a essere simile, a 5 anni dalla diagnosi, a quello di una persona di pari età e condizioni senza storia oncologica alle spalle.
Rispetto alla popolazione generale, nei pazienti oncologici sale anche la mortalità legata a Covid-19. “Per i tumori toracici ed ematologici la mortalità raggiunge anche il 30-40%” ha spiegato Marina Garassino, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in una sessione del congresso AACR Covid-19 and Cancer, previsto in modalità virtuale nei giorni 3-4-5 febbraio 2021. “Non è del tutto chiaro quali siano i fattori alla base di questo incremento di mortalità: potrebbero giocare un ruolo l’età avanzata di molti dei pazienti oncologici, le comorbilità, lo status di malattia, e altro ancora” ha precisato l’oncologa tra le promotrici del registro TERAVOLT che raccoglie dati su pazienti con tumori toracici e Covid-19.
Sono oggi disponibili studi clinici sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini anti-SARS-CoV-2 in questa popolazione?
Gli studi che hanno portato alla preparazione a alla approvazione dei vaccini attualmente disponibili non hanno coinvolto pazienti oncologici. Per questa ragione molte delle raccomandazioni pubblicate dalle società scientifiche nazionali e internazionali si basano su studi osservazionali relativi all’impatto della pandemia su pazienti oncologici o su precedenti esperienze di vaccinazione in questa popolazione con altri vaccini, in particolare quello contro l’influenza. Gli esperti sono concordi sulla necessità di raccogliere e generare dati specifici su queste popolazioni sia attraverso registri nazionali ed internazionali, sia attraverso studi ad hoc, per poter fornire a medici e pazienti risposte sempre più certe e basate su dati scientifici solidi.
I malati oncologici possono/devono essere vaccinati?
L’indicazione generale degli esperti è quella di vaccinare i pazienti oncologici contro il nuovo coronavirus “purché non vi siano controindicazioni, analoghe a quelle per la popolazione generale”. Con quest’ultima frase si fa riferimento in particolare ad allergie accertate ai componenti del vaccino o a controindicazioni di altra natura, magari legate alla malattia in corso o a condizioni particolari del paziente. Come ricordano gli esperti AIOM-CIPOMO-COMU, però, nelle linee guida internazionali non si fa riferimento specifico ai pazienti oncologici ma a quelli immunocompromessi. “Gli individui immunocompromessi possono ancora ricevere la vaccinazione SARS-CoV-2 se non hanno controindicazioni alla vaccinazione. Tuttavia, dovrebbero essere informati sulla mancanza di dati in questo momento sul profilo di sicurezza del vaccino e sulla sua efficacia nelle popolazioni immunocompromesse, nonché sul potenziale di risposte immunitarie ridotte e sulla necessità di continuare a seguire tutte le linee guida attuali per proteggersi dal COVID-19” scrivono nel loro documento.
Questi pazienti hanno oggi priorità nei programmi vaccinali?
Le campagne vaccinali seguono schemi differenti nei diversi paesi, così come sono diversi i criteri scelti per assegnare le priorità per la vaccinazione. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nella sua Roadmap sulla vaccinazione chiede di “assicurarsi che l’assegnazione delle priorità vaccinali all’interno delle nazioni tenga in considerazione le vulnerabilità, i rischi e le necessità di quei gruppi che, per via di fattori sociali, etnici/razziali, geografici o biomedici, abbiamo un maggior rischio di avere conseguenze più pesanti nella pandemia di COVID-19”. Anche sulla base di queste considerazioni, l’OMS considera come prioritaria la vaccinazione del personale sanitario e degli anziani, seguiti – in una fase successiva – dai malati oncologici.
Alcuni paesi, di contro, non prendono in considerazione la presenza di tumore nell’assegnare la priorità vaccinale, ma si basano soprattutto sulle fasce di età. “Di certo l’età è uno dei maggiori fattori di rischio per esiti avversi da Covid-19, ma non dobbiamo dimenticare che un 50enne con un tumore al polmone potrebbe essere anche più a rischio di un 80enne senza il cancro” ha spiegato nel corso del congresso AACR Jill Feldman, portavoce dei pazienti con tumore del polmone.
In Italia, il piano strategico vaccinale prevede una prima fase di vaccinazione rivolta agli operatori sanitari, al personale e ai residenti delle RSA e agli ultra-ottantenni. Di seguito una seconda fase che coinvolgerà anche le persone tra i 60 e i 79 anni e quelle “con almeno una comorbilità cronica”; in questa seconda fase potrebbero, almeno in linea teorica, rientrare i pazienti oncologici.
I vaccini sono sicuri in questi pazienti?
“Sebbene i dati siano ancora limitati, non ci sono ragioni per credere che i vaccini oggi disponibili possano mostrare profili di sicurezza diversi nella popolazione oncologica rispetto a quella generale” ha affermato Garassino al congresso AACR. Concordano su questo punto anche le società scientifiche internazionali che sostengono la vaccinazione anche in pazienti oncologici in trattamento con terapie immunosoppressive. In effetti, i benefici associati alla protezione conferita dal vaccino sembrano essere ragionevolmente superiori ai rischi legati all’infezione o ai possibili effetti collaterali della vaccinazione stessa.
“Non dobbiamo confondere gli effetti collaterali della vaccinazione con gli eventuali eventi avversi” ha affermato nel corso del congresso AACR John Wherry, immunologo della University of Pennsylvania di Philadelphia. “Gli effetti collaterali sono in un certo senso i benvenuti, perché sono un segno che il vaccino sta funzionando e che il sistema immunitario si sta attivando” ha aggiunto, ricordando però che l’assenza di questi effetti collaterali non significa che la vaccinazione non stia funzionando.
Tra gli effetti collaterali della vaccinazione, che in genere si presentano dopo 1-2 giorni dalla somministrazione e in particolare dopo la seconda dose, si possono ricordare soprattutto dolore, arrossamento e gonfiore nel punto di somministrazione. In alcuni casi possono essere presenti febbre, affaticamento, mal di testa, dolori muscolari e articolari.
Esiste una tipologia di vaccino da preferire per i pazienti oncologici?
A causa della mancanza di dati, non è attualmente possibile dare una risposta definitiva a questa domanda. I vaccini a mRNA, sui quali sono disponibili più dati, sono considerati in genere sicuri, mentre sono sconsigliati quelli a virus attenuato. Gli studi oggi in corso permetteranno di ottenere informazioni più precise anche in questo senso.
È vero che la risposta ai vaccini potrebbe essere inferiore nei pazienti oncologici?
In effetti, alcuni pazienti oncologici possono avere una risposta immunitaria ridotta di fronte al vaccino e questo porterebbe a una riduzione dell’efficacia protettiva della vaccinazione. In questa categoria rientrano, per esempio, i pazienti trattati con agenti che portano a deplezione delle cellule B (anticorpi monoclonali anti-CD19, anti-CD20, anti-CD10 e cellule CAR-T CD19) o quelli sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche e per questa ragione particolarmente immunodepressi.
Secondo John Wherry però, questo non rappresenta un problema particolarmente preoccupante. “La risposta immunitaria generata dalla vaccinazione è talmente elevata che non ci dovrebbero essere problemi in termini di protezione anche in pazienti con risposta ridotta come alcuni malati oncologici” ha spiegato l’esperto. “Inoltre non dimentichiamo che la vaccinazione genera una risposta su più livelli che coinvolge sia le cellule B che le cellule T” ha aggiunto, precisando che questa caratteristica permette al vaccino di mantenere un certo livello di efficacia anche in pazienti con deplezione delle cellule B e contro le nuove varianti che si sono già presentate e che emergeranno in futuro.
Ci possono essere interazioni/interferenze tra la vaccinazione e le terapie oncologiche in corso?
Anche in questo caso non sono disponibili dati certi in merito. L’esperienza con il vaccino anti-influenzale suggerisce che la chemioterapia potrebbe ridurre in modo importante la risposta immunitaria e che invece nei pazienti in trattamento immunoterapico i livelli di sieroconversione sono buoni in seguito a vaccinazione.
Quando è meglio vaccinare un paziente con diagnosi di tumore?
La definizione delle migliori tempistiche di vaccinazione dei pazienti oncologici resta al momento oggetto di dibattito data la mancanza di dati dirimenti. Sulla base di esperienze passate (con altri vaccini) e dei pochi dati disponibili, gli esperti suggeriscono – se possibile – di vaccinare i pazienti con nuova diagnosi di cancro prima dell’inizio della terapia oncologica. È importante però valutare ogni singolo caso e non ritardare l’inizio di un trattamento anti-tumorale urgente solo per attendere la vaccinazione.
Non ci sono indicazioni specifiche sulle tempistiche di vaccinazione nei pazienti che hanno già iniziato la chemioterapia: si suggerisce di vaccinare i pazienti in trattamento attivo (chemioterapia, immunoterapia, terapia biologica, radioterapia) in prossimità della terapia oncologica, quando la conta leucocitaria è ottimale. Nel caso di pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo, è opportuno invece attendere almeno 6 mesi prima di procedere con la vaccinazione.